Fake camera. Fake photography

Fare fotografia con lo smartphone, per quanto non venga considerata vera fotografia, impone comunque la pena di seguirne lo sviluppo e l’evoluzione, sia sotto il profilo tecnologico, hardware e software, sia sotto quello puramente creativo. Nel primo caso, i telefoni da semplici oggetti con un modulo fotografico punta e clicca, sono diventati molto sofisticati, dove il fare fotografia ora sfrutta a pieno anche l’intelligenza artificiale. Nel secondo caso, le applicazioni sono diventate ricche di opzioni, permettendo di intervenire sull’esposizione con maggiore precisione, aggiungendo filtri, introducendo perfino le correzioni selettive. A ben vedere, ogni volta che il display del telefono viene premuto per mettere a fuoco e scattare, per poi passare alla eventuale successiva regolazione, il processore di immagine compie una serie di operazioni non certo banali.

Se la parola fotografia è legata al mezzo, per definizione quello fotografico ha una forma che non ha nulla a che vedere con il telefono. La fotocamera è un oggetto che permette di controllare l’esposizione aprendo e chiudendo il diaframma dell’obiettivo, regolando la sensibilità del sensore, scegliendo il tempo giusto. In molti modelli questo avviene utilizzando le ghiere, non certamente solo in base al calcolo di un software. A parte queste differenze di forma, la smartphone photography è dunque vera fotografia?

Il dibattito ruota principalmente, se non esclusivamente, sul fatto che le fotografie scattate con il telefono finendo sui social, contribuiscono ad abbassare la cosiddetta qualità fotografica. In effetti, visti i soggetti condivisi, dove prevale il selfie, fare un ragionamento degno della migliore critica è abbastanza complicato. Il punto, però, è un altro. Il telefono ha portato le persone a fotografare cose che prima non sarebbero mai state fotografate, immagini non necessarie, per certi aspetti esagerate, in grado di evidenziare una pratica che fa riflettere. E la riflessione è questa.

Capita a tutti di rispondere a un messaggio di testo con una fotografia, il motivo è semplice, è più immediato parlare con una immagine, come tutti sanno vale più di mille parole, che scrivere. Similmente, è ormai pratica quotidiana quella di riportare una notizia, non citandola, ma fotografandola. Anche gli stati fisici e psichici vengono affidati alle immagini, come cosa si mangia, dove ci si trova e si potrebbe continuare con una lunga lista di casi. Per quanto non godano del pregio estetico, parlare per immagini è comunque una forma assimilabile alla fotografia. Eppure, difficilmente qualcuno avrebbe fotografato il display della metro che indica 5 minuti di attesa – a Roma – per avvertire le persone a casa, utilizzando una fotocamera digitale o addirittura una a pellicola. Come detto, queste sono considerate o interpretate come fotografie e lo sono perché godono di uno spazio di archiviazione, non solo, continuano ad esserlo anche in quelle di ogni altro telefono con cui vengono condivise, perché memorizzate.

Per tale motivo, vengono ormai pubblicizzate applicazioni capaci di scansionare il telefono alla ricerca delle immagini inutili o addirittura, caso limite, dei duplicati. Il criterio con cui vengono definite inutili delle immagini rispetto ad altre è stabilito dallo sviluppatore, probabilmente affidandosi a una statistica elaborata da qualche parte, lasciando poi all’utente la conferma. I duplicati, invece, sono un caso interessante. Gli sviluppatori ritengono che due o più immagini simili siano un errore e quindi da sottoporre all’attenzione dell’utente per la rimozione. Una caratteristica del genere, implementata su un software di sviluppo fotografico, svuoterebbe di molto l’archivio di ogni fotografo professionista e anche non.

Il punto è questo. Il telefono, con tutta la sua bella e affascinante complessità tecnologica, rimane confinato a dispositivo che simula il fare fotografia. Essenzialmente, cavalcando l’onda delle definizioni a portata di tutti, è una fake camera. Le immagini ottenute non sono fotografie, ma delle imitazioni o delle ri-produzioni. Nella fotografia propriamente vera, gli scarti, vale a dire le fotografie non selezionate, per tutte le varie ragioni, sono essenziali a descrivere il momento creativo, vale a dire come si è arrivati allo scatto giusto. Quando un dispositivo mette in discussione il processo creativo, rincorrendo ed esasperando la perfezione, è la fine, e questo avviene perché permette di accedere, di imitare per l’appunto, una pratica, falsandola.

 

Federico Emmi